martedì 22 dicembre 2015

Banche, facciamo chiarezza

Dopo il caso delle 4 banche una riflessione sul diritto-dovere dei cittadini di informarsi sui rischi finanziari e sul ruolo delle Amministrazioni


di Elena De Riva


In questi giorni sembra che tutti siano concentrati sulla vicenda delle 4 banche (Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e CariChieti) che sono state salvate con decreto del consiglio dei Ministri lo scorso 22 novembre. Non si tratta di un salvataggio vero e proprio, perché i 3,6 miliardi necessari per risollevare le sorti degli istituti di credito non verranno tirati fuori dal Governo, ma da altre banche: Intesa San Paolo, Unicredit e UBI banca. Non si utilizzerà quindi capitale pubblico.

E allora dove starebbe il problema?

Il problema sembra legato al fatto che il decreto salva-banche ha di fatto azzerato il valore delle obbligazioni subordinate in mano agli investitori, i quali hanno quindi visto andare in fumo i loro  accumulati forse in tutta una vita. Questo almeno è quanto sembra sia accaduto al pensionato suicida di Civitavecchia.

L’attrazione di obbligazioni subordinate rispetto a quelle di altri strumenti finanziari come le obbligazioni ordinarie deriva dal maggior rendimento che le prime garantiscono rispetto alle seconde. Un maggior rendimento necessario per compensare il maggior rischio. Le obbligazioni subordinate infatti costituiscono, al pari delle obbligazioni ordinarie, un debito che la banca ha nei confronti dell’investitore, ma, diversamente da queste ultime, in presenza di una procedura fallimentare, vengono rimborsate “subordinatamente” (da qui il nome) ad altri creditori aventi maggiori diritti: il fisco, i depositanti, i dipendenti, i detentori di obbligazioni ordinarie.


Il problema secondo qualcuno è sorto perché da qualche anno l’Europa tratta i salvataggi delle banche come veri e propri salvataggi agli Stati: prima che uno Stato possa intervenire in aiuto di una banca, è necessario addossare parte delle perdite ai possessori di azioni e di obbligazioni subordinate, al fine di ridurre al minimo l’eventuale intervento statale. Questo modo di pensare tuttavia dimentica da una parte le polemiche di qualche anno fa circa l’utilizzo di capitale pubblico per salvare banche private e dall’altra la definizione stessa dei diritti riconosciuti a diverse tipologie di investitori.

Il problema quindi secondo me non è legato all’Europa, che dal 1 gennaio prossimo diventerà ancora più severa con l’applicazione del bail-in: lo Stato potrà intervenire aiutando una banca solo se prima parte delle perdite saranno state coperte dagli azionisti e dai creditori della banca stessa, compresi i detentori di obbligazioni ordinarie e i correntisti (ad esclusione dei depositi inferiori ai 100mila euro, coperti da assicurazione).

Il problema invece, secondo me, è un problema di educazione finanziaria dei cittadini, i quali nel rapportarsi con gli istituti di credito, non possono più permettersi al giorno d’oggi di interloquire con loro senza avere consapevolezza di ciò che stanno facendo, senza avere chiaro in mente semplici regole basilari dei mercati e degli strumenti finanziari. Certo, rimane la necessità di migliorare la tutela dei consumatori di prodotti finanziari, rimane l’obbligo da parte degli istituti di credito di informare correttamente i propri clienti dei rischi che stanno correndo, rimane il dovere e la responsabilità di chi è chiamato a controllare di farlo nel modo più appropriato possibile. Ma per ovviare al fatto che spesso il dovere di informazione è limitato a semplici passaggi burocratici, come la firma del modulo Mifid, anche i cittadini hanno il diritto-dovere di diventare edotti finanziariamente.

Una sfida importante che dovrebbe essere colta anche dalle Amministrazioni, in grado di fare da tramite per instaurare un dialogo specifico tra il settore finanziario e le organizzazioni della società civile sui temi della regolamentazione, dell’autoregolamentazione, dell’educazione finanziaria e dell’accesso a prodotti e servizi finanziari trasparenti. Una collaborazione tra diversi soggetti (Amministrazioni, organizzazioni finanziarie, organizzazioni della società civile, cittadini responsabili e coinvolti attivamente nello sviluppo delle loro capacità finanziarie) affinché l’intero sistema finanziario possa diventare più solido, sicuro e trasparente. 

Non dimentichiamoci infatti che il comportamento socialmente irresponsabile di alcune istituzioni finanziarie - lasciate sole -  è stato tra le principali cause della crisi finanziaria, trasformatasi poi in una grave crisi economica, sociale e politica.

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