venerdì 24 maggio 2013

Pd Cernusco, l'apertura è la sua forza

"Abbiamo aperto la lista e raccolto le adesioni. E la gente ha capito che il Pd non è la confraternita segreta della gestione del potere". Intervista a tutto campo del segretario del Pd di Cernusco Paolo Della Cagnoletta, che alla Giunta dice: "E' ora di ingranare la sesta marcia"


Su CernuscoInfolio l'intervista al nostro segretario.




È stato assessore nel primo mandato Comincini, poi si è dimesso perché, come segretario cittadino del Pd, voleva concentrarsi solo sul partito e sulle elezioni, poi vinte in carrozza. Lui è Paolo Della Cagnoletta.
Sincero: le manca un po’ la politica in aula?
«Un po’ sì, non lo nego. A fare l’assessore finisci con l’essere molto esposto e senti la pressione che a volte ti crei anche da solo. Per certi versi ora il mio ruolo è più rilassante seppure vivo. Ora sono in un altro livello, dove avverto le situazioni come chi non è più nella stanza dei bottoni, ma deve coinvolgere la gente, fare proposte, prendere altre decisioni. E comunque anche gestire il Pd porta pressione anche se diversa».
Cosa possiamo dire visto che il Pd, con lei segretario, ha vinto le amministrative con percentuali notevoli?
(sorride) «Sacchi era un grande allenatore, però in squadra c’erano Gullit, Van Basten e Rijkaard.  Sono contento di aver dato una mano, ma Comincini è un cavallo di razza, nessuno è al suo livello quando si deve produrre consenso. La sua leadership è riconosciuta da tutti».
Non si riconosce proprio alcun merito?
«Beh... Quello di aver candidato una bella squadra per il consiglio comunale con un lavoro preparatorio e un corso di formazione  che ha raccolto grande partecipazione. Abbiamo aperto la lista e raccolto le adesioni. E la gente ha capito che il Pd non è la confraternita segreta della gestione del potere».
So che è presto, ma state già ragionando sul prossimo candidato sindaco?
«È molto presto, però molto dipenderà da quanto durerà il governo Letta. Eugenio è persona seria e vuole fare un mandato pieno, però è chiaro che il suo profilo politico sta diventando più ampio. Se si torna al voto gli richiederanno di sicuro di andare a Roma e io rispetterò la sua scelta».
Quindi?
«Quindi a fari spenti ci guardiamo in giro. Cerchiamo di capire chi sia disponibile e se ha le caratteristiche giuste. E comunque dovremmo sempre ragionare come coalizione. Sarà difficile escludere le primarie».
Che cosa si aspetta da questa giunta?
«Che come le auto più tecnologiche inserisca la sesta. Nei primi cinque anni abbiamo capito come funziona la macchina amministrativa, abbiamo seminato e già nel 2012 abbiamo raccolto. Ora entro il 2017 vogliamo finire il programma e portare Cernusco a essere un comune virtuoso sul terreno della modernità».
Un’opposizione deboluccia come appare questa, non è un male per la città e per voi?
«In effetti avere un concorrente ti spinge a fare meglio. Ad esempio riconosco a Paolo Frigerio che tra il 1994 e il 2000 da sindaco ha alzato il livello della qualità della comunicazione pubblica. È essenziale avere un competitor forte che ti costringa ad alzare l’asticella. Oggi l’opposizione non ci obbliga a farlo. Quindi o ci sediamo, oppure ci costringiamo da soli a tenere alta la tensione e le aspettative. Noi, per fortuna, ragioniamo nel secondo modo».
Il capogruppo di Persona e Città Claudio Gargantini, spesso accusa questa maggioranza di avere numerosi conflitti di interesse al suo interno. La sua opinione in merito?
«Noi siamo riusciti nel tempo a creare un piano di credibilità. Gargantini invece no. Fino a quando giocherà sul nostro terreno, vinceremo sempre noi. Se ci contrasta sulla questione Ipsia in tre secondi spieghiamo che la nostra logica amministrativa è un’urbanistica in cui ci rifiutiamo di aprire all’espansione immobiliare».
Ok, ma sulle accuse di conflitto di interessi?
«Noi usciamo da un periodo in cui l’assessore all’Urbanistica era titolare di un’impresa di costruzioni, o in cui il sindaco faceva la spola tra Villa Greppi e le agenzie immobiliari. Questi sono conflitti di interessi. Se parla di associazioni culturali o no profit, Gargantini mi sembra che spari alle zanzare».
Passiamo alle questioni nazionali. È d’accordo sull’iniziativa dei renziani milanesi di chiedere scusa a Prodi?
«Sì. E si chieda scusa anche a tutti gli elettori del Pd. Quei famosi 101 voti sono la prova dell’ipocrisia di un pezzo del gruppo dirigente del partito».
Perché il Pd ha perso elezioni che aveva già in tasca?
«Perché non ha avuto il coraggio di dire come avrebbe cambiato l’Italia. Il mio partito deve capire se vuole conservare o innovare. E poi c’è stata poca cattiveria politica. È un approccio sbagliato quello di non ragionare sulla conquista dei voti nel campo altrui. Tutti i voti sono validi e va capito. Non basta pensare di conquistare la base di riferimento come avviene nelle primarie».
Quindi da dove dovete ripartire per ritrovare credibilità?
«Da un ragionamento schietto sulla prospettiva programmatica con un congresso che deve portare avanti tre grandi temi: il lavoro, la redistribuzione del reddito e la pubblica amministrazione. Devono uscire posizioni finalmente chiare e qui si torna al discorso di prima sull’innovazione».
Soprattutto la questione lavoro pare prioritaria...
«Vero. Ed è possibile crearlo. Faccio un esempio. Guardiamo l’Enjoy che ha assunto una trentina di persone con un indotto di almeno una cinquantina di persone coinvolte. Un’iniziativa del privato dove il Comune ha un ruolo forte e determinante. Questa cosa si chiama lavoro».
Ultima domanda: favorevole all’abolizione dell’Imu?
«Già tempo fa dissi che l’abolizione dell’Ici era un’enorme scemenza. E già allora la pagava meno della metà della popolazione. Peraltro stiamo parlando della tassa più federale che ci potesse essere. Sulla questione Imu, che così come impostata di fatto è una mini patrimoniale, sono d’accordo con Letta. Ribaltiamo il tavolo di questa imposta. I comuni, in una concezione di autonomia, devono dare risposte ai cittadini e decidere cosa farne e quanto alzarla o meno».
Roberto Pegorini

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